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Rassegna Stampa - L'Argomento di Oggi - dal 2010-06-10 ad oggi 2010-06-17 Sintesi (Più sotto trovate gli articoli)

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Internet, l'informatore, ll Giornalista, la stampa, la TV, la Radio, devono innanzi tutto informare correttamente sul Pensiero dell'Intervistato, Avvenimento, Fatto, pena la decadenza dal Diritto e Libertà di Testimoniare.. Poi si deve esprimere separatamente e distintamente il proprio personale giudizio..

 

Il Mio Pensiero (Vedi il "Libro dei Miei Pensieri"html PDF ):

…..

Rassegna Stampa - L'Argomento di Oggi - dal 2010-06-10 ad oggi 2010-06-17

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2010-06-17

IL LIBRO

Ciampi, le tre vite del presidente

Autoritratto di un servitore dello Stato

Al vertice della Banca d'Italia, ministro del Tesoro che ci traghettò nell'euro, l'approdo al Colle: nel libro-conversazione "Da Livorno al Quirinale" le tappe della sua storia. Tra rigore e sentimento

di EUGENIO SCALFARI

Ciampi, le tre vite del presidente Autoritratto di un servitore dello Stato

LEGGENDO il bel libro-conversazione di Carlo Azeglio Ciampi con Arrigo Levi, che sta arrivando oggi nelle librerie (il Mulino, Da Livorno al Quirinale, pagg. 183, euro 14) e avendo conosciuto per diretta ed intima frequentazione sia l'uno che l'altro dei due interlocutori, ho fatto questa riflessione: un personaggio come Ciampi è unico nella storia dell'Italia repubblicana.

Del resto questa constatazione emerge dal racconto della sua vita: voleva fare l'insegnante di latino e greco nei ginnasi-licei, ma per caso entrò da impiegato nella filiale di Macerata della Banca d'Italia e vi restò undici anni. Poi, per merito, fu chiamato a Roma, alla sede centrale della Banca, dove era destinato all'ufficio di Vigilanza, ma per caso fu invece inserito nell'ufficio studi. Non aveva alcuna preparazione economica, perciò si mise "a studiare come un matto" e, per merito, dopo qualche anno diventò capo del settore che si occupava di economia reale. Lì rimase qualche anno finché, per caso e per merito, fu nominato capo del servizio studi, un incarico di notevole rilievo nel nostro Istituto di emissione.

Passò altro tempo e, per merito, fu promosso segretario generale; dopo poco entrò a far parte del Direttorio della Banca come vicedirettore generale. Per caso e per merito arrivò al posto di maggior rilievo nell'amministrazione dell'Istituto: direttore generale. Infine, per caso e per merito, governatore dopo che Paolo Baffi dette le sue irrevocabili dimissioni in seguito all'assalto contro l'indipendenza della Banca guidato da Andreotti ed effettuato tramite un magistrato della Procura di Roma.

Seguirono 13 anni alla testa della Banca, 13 anni densi di fatti, di innovazioni, di scontri e incontri. Diciamo 13 anni drammatici e alla fine tragici, ma anche esaltanti e densi di vissuti privati e di vissuto collettivo. Tra di essi campeggia il fallimento del Banco Ambrosiano, e la sua rinascita su nuove basi, il suicidio-omicidio di Roberto Calvi, l'uccisione dell'avvocato Ambrosoli, lo scontro con lo Ior (la banca del Vaticano), il "divorzio" tra il Tesoro e la Banca d'Italia, la crisi valutaria dell'85 e quella ancora più grave del '92.

Infine un nuovo e mai immaginabile percorso: la politica. Dalla telefonata di Scalfaro del 26 aprile del '93, che lo chiama per incaricarlo di formare un nuovo governo, fino al settenato al Quirinale, concluso nel maggio 2006. Altri 13 anni (numero fortunato) costellati da eventi di portata nazionale, europea, mondiale: la battaglia vinta, contro l'inflazione a due cifre e contro il disavanzo, l'ingresso dell'Italia nell'euro che è stata la più grande delle riforme, la concertazione tra governo e parti sociali, il rilancio dell'Unità d'Italia contro le culture del localismo e del separatismo.

Questo è il sommario d'una vita che tocca ormai i 90 anni. Quale altra vita, intesa nel senso di vita pubblica sostenuta da un metodo, da un'etica e da un carattere, gli si può paragonare? Su nove presidenti della Repubblica, due (Einaudi e Ciampi) provennero dalla Banca di Italia, ma Einaudi prima ancora che banchiere centrale era un eminente studioso di scienza delle finanze, scrittore, presidente del Partito liberale. Insomma un uomo politico sia pure d'un genere molto particolare.

I governatori della Banca a loro volta sono stati fino ad oggi sette a cominciare anche qui da Einaudi, ma uno soltanto di loro cominciò da impiegato e alla fine arrivò alla carica di governatore; durò 43 anni la sua carriera nella Banca e 13 anni il suo servizio pubblico nel governo e al vertice dello Stato. In tutto sono stati 56 anni da piccolo funzionario a "grand commis" della Repubblica. Senza mai aver fatto parte di un partito, di una lobby, di una loggia, d'una "arciconfraternita di potere" come la chiamò Carli in una delle sue relazioni da governatore. Salvo che, quando aveva vent'anni, Ciampi fondò a Livorno una sede del Partito d'azione. Dopo sei mesi si dimise: le idee di giustizia e libertà restarono il caposaldo della sua vita, ma i partiti non facevano per lui.

Ho osservato che molte tappe di questo lungo percorso furono compiute per caso, altre per merito. Il merito e il caso, o meglio: la costanza, il talento e la fortuna. Questo è stato Carlo Azeglio Ciampi.

***

Ci sono alcuni punti salienti nella sua vita che meritano di essere rivisitati. Il primo è la religione, un sentimento privato ma anche un comportamento pubblico per chi è stato al servizio dello Stato per tanti anni.

Levi gli domanda notizie sulla sua educazione religiosa. Lui ricorda una nonna paterna devota e una nonna materna non credente e poi prosegue così: "Dalla quarta elementare alla fine del liceo studiai dai Gesuiti, quindi un'educazione religiosa l'ho certamente avuta, ma debbo dire che i Gesuiti non erano opprimenti. Subito dopo passai alla Normale e mi trovai in un ambiente estremamente laico, quasi ateo direi. Trovai la composizione di questa che, ripensandoci, non è una contraddizione, nella mia prassi di vita. Nell'ambiente religioso mi è stato insegnato l'amore per il prossimo. Nell'ambiente della Normale, in particolare da Guido Calogero, mi è stato insegnato il rispetto del prossimo, al quale riconosci i tuoi stessi diritti e per i quali devi combattere ancor prima che per i tuoi".

E aggiunge, per spiegare meglio la sua "prassi di vita": "Quando partecipavo a cerimonie ufficiali non ho mai voluto prendere la comunione. Mi sentivo di rappresentare tutti gli italiani, quindi ho sempre evitato di comunicarmi in pubblico. Mi ricordo che una volta mi trovavo a Loreto. L'officiante era il Vescovo. Al momento della comunione fece un cenno verso di me, io feci segno di no, non è che mi nascondessi ma l'imponeva il mio ruolo".

Ciampi fu molto amico di papa Wojtyla. Dalle pagine di questo libro apprendiamo che si vedevano spesso, quasi settimanalmente facevano insieme la prima colazione nell'appartamento privato del Papa e conversavano informalmente per quasi un'ora; c'erano lui, Franca e don Stanislao, l'assistente polacco del Papa. Questa abitudine durò fino a due mesi prima della morte di Wojtyla. Eppure questo non influì in nessun modo sulla concezione politico-costituzionale del presidente Ciampi, come non aveva del resto influito su Scalfaro prima e su Napolitano poi. Tre presidenti laici nonostante le loro private credenze o non credenze. Pertini li aveva preceduti in questo atteggiamento che è servito a distinguere la dignità dei vari "inquilini" che si sono susseguiti al Quirinale ed anche quelli che si sono susseguiti a Palazzo Chigi.

***

Un'altra questione di grande rilievo riguarda i principi, anzi i valori che sono parte integrante di una concezione politica. Ciampi, ad un'esplicita domanda del suo interlocutore, risponde così: "Se non c'è libertà, cioè la capacità di esprimere liberamente i propri pensieri ed ascoltare liberamente i pensieri altrui, non c'è vera vita politica. Non c'è la città, la "civitas". Ma la libertà deve accompagnarsi con la giustizia sociale. Non si può essere completamente liberi quando c'è una situazione sociale iniqua, perché per poter esercitare la libertà bisogna essere liberi dal bisogno. Pensavo queste cose quando mi iscrissi al Partito d'azione, ma le penso ancor oggi a tanti anni di distanza".

A questi principi si ispirò Ciampi quando da presidente del Consiglio nel 1993, all'indomani d'una gravissima crisi finanziaria che aveva messo a rischio la lira e lo stesso sistema economico nazionale, promosse la concertazione tra il governo e le parti sociali: un metodo che ha aiutato in misura determinante il governo a riportare entro limiti di normalità il valore della moneta nazionale, il disavanzo delle partite correnti e l'attività produttività e che ha funzionato egregiamente fino allo scorso 2008, quando il governo Berlusconi decise di abbandonarlo con il consenso della Confindustria e delle due confederazioni sindacali minoritarie: la Cisl e la Uil.

La concertazione proposta e attuata da Ciampi nel '93 è durata 15 anni, dando risultati molto positivi. Seguiva un'idea lanciata poco tempo prima da Tarantelli, che poi fu ucciso dalle Br. L'idea era quella di costruire la politica dei salari, degli investimenti e della liquidità bancaria attorno al tasso di inflazione programmata. "Quell'accordo - scrive Ciampi - è stato fondamentale per portare la stabilità nell'economia italiana, stabilità che va strettamente collegata con la crescita". Oggi se ne parla inutilmente e restano parole vuote, slogan e chiacchiericcio. Ciampi, coadiuvato da Gino Giugni suo ministro del Lavoro, lo realizzò in pochi giorni e poi tenne ferma la barra passando il testimone ai suoi successori.

***

Infine la neutralità attiva della Presidenza della Repubblica, custode della Costituzione, garante dei valori fondamentali che sono alla base del patto costituzionale, tutore dei diritti delle minoranze, del laicismo dello Stato, del pluralismo dell'informazione e dell'equilibrio dei poteri.

Ad elencarli, questi compiti sembrano tessuti soltanto di parole che possono essere facilmente manipolate.

In effetti è così: possono essere facilmente manipolate per far esprimere a quelle stesse parole significati e contenuti completamente opposti ai principi che le hanno ispirate. Opporsi a queste manipolazione distorsive della democrazia è appunto il compito dei grandi Presidenti della Repubblica e della Corte costituzionale che completa e corona, il sistema delle garanzie, dei diritti e dei doveri.

Ciampi è stato particolarmente sensibile a questi problemi ed ha puntigliosamente difeso la vitalità - vorrei direi la sacralità - di quei principi. Lo dimostrano alcuni episodi da lui citati: la riunione del Consiglio supremo di Difesa da lui convocato all'inizio della guerra americana in Iraq, che impose al governo la formula della "partecipazione pacifica" del contingente italiano all'iniziativa di Bush, visto che la nostra Costituzione impedisce guerre offensive.

Ci fu poi il messaggio al Parlamento sulla tutela del pluralismo e, in coerenza con quel messaggio, il rinvio della legge Gasparri alle Camere per manifesta incostituzionalità. Il racconto di questa vicenda, lo scontro al Quirinale col presidente del Consiglio che voleva impedire ad ogni costo il rinvio, è narrato con doveroso riserbo nel libro, ma il diario che Ciampi tenne per tutta la durata del suo impegno politico è ben altrimenti eloquente: noi abbiamo avuto modo di leggerlo e ne abbiamo riferito tempo fa su questo giornale, ma ora usciranno i quaderni del Presidente nella loro completezza e sarà un piccolo ma importante evento editoriale.

Infine un altro durissimo scontro avvenne il 4 novembre 2005 a proposito della nomina dei membri della Corte costituzionale di spettanza del Capo dello Stato, sulla quale Berlusconi avanzava pretese di compartecipazione che Ciampi stroncò con durezza.

Le ultime righe di questo bel libro riguardano i giovani. Le riferisco perché non c'è finale migliore. Aggiungo, che secondo me, queste pagine andrebbero lette nelle scuole a beneficio degli studenti, dei genitori e della scuola.

"Ho incontrato molti ragazzi, studenti, giovani impegnati nello studio e nel lavoro. Spesso non sono soddisfatti della loro precaria condizione ma ho osservato che non cadono nel disincanto o peggio nel cinismo. Affrontano la realtà per quello che è e si preparano a cambiarla. Questo è per me il punto, il ricambio generazionale, quando questi giovani chiederanno con vigore ai loro padri: "Ora fatevi da parte". E' ciò che fece la mia generazione all'indomani della guerra. Tra molte difficoltà e incertezze dicemmo: "Ora tocca a noi". Ce la facemmo. Anche loro ce la faranno".

(17 giugno 2010)

 

 

 

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